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I MARTIRI DEL 28 GIUGNO 1944 e LA LIBERAZIONE DELL’ALTO GARDA

L’eccidio

“Nel corso dell’azione eseguita in data 28 giugno 1944 contro la banda Cesare Battisti a Trento e dintorni” risultano uccise “11 persone durante la fuga o mentre opponevano resistenza all’arresto”, vengono arrestate altre 17, mentre risultavano irreperibili 15 sospetti. QUesto il resoconto dell’azione di rastrellamento nel laconico - e terribile! - Rapporto del Comandante della polizia di sicurezza e del servizio di sicurezza di Bolzano datato 29 giugno 1944, che mette in fila, disordinatamente, una serie di nomi e di generalità raggruppate in queste tre categorie: irreperibili, arrestati uccisi. Tra gli arrestati anche dei genitori dei ricercati, dice il rapporto: “per rappresaglia”: è il caso dei genitori di Gastone Franchetti e del padre di Renato Ballardini. Dietro gli omicidi per “fuga o resistenza all’arresto” si nascondono liquidazioni brutali senza nemmeno la parvenza di un processo: servono per stroncare l’attività partigiana in Trentino. E’ il caso di Eugenio Impera, giovanissimo partigiano ucciso dalle SS davanti ai famigliari, mentre era ancora in camera da letto. Impera era un giovane studente del Liceo Andrea Maffei di Riva del Garda, frequentava la terza liceo quando decise di entrare a far parte di un gruppo d’appoggio per i partigiani. La giovane età della vittima e la ferocia con cui fu ucciso portò la futura resistenza rivana a dare in seguito il suo nome alla brigata.

Contributo audio: Cecilia Impera, dall’archivio di 900trentino

Un’altra giovane vittima fu Enrico Meroni, ucciso dopo essere stato torturato all’interno della Feldgendarmerie a Riva: una donna testimoniò di aver sentito le urla strazianti del giovane spente poi da due colpi colpo di pistola.

La stessa sorte tocca al ventiduenne Gioacchino Bertoldi, che prima di essere abbattuto dai colpi di pistola ingoiò una carta compromettente per la resistenza e gridò “i compagni mi vendicheranno!”. Altri nomi nella lista: Augusto Betta e Gamberetto Antonio, brigadiere, Gioacchino Bertoldi di Nago, poi, di Arco, Giuseppe Marconi, Ferdinando Toti, Giuseppe Ballanti, Bresadola, e infine l’avvocato Angelo Bettini di Rovereto.

E’ un colpo terribile per la resistenza trentina che si stava organizzando nelle difficoltà che vedremo: tra gli arrestati anche nomi di spicco come quello del conte Giannantonio Manci, uno dei punti di riferimento di tutta la resistenza in Trentino, e dell’avvocato Giuseppe Ferrandi. Manci verrà torturato per sette giorni e si lancerà dalla finestra del terzo piano della sede della Gestapo di Bolzano, prima di cedere e prima di rivelare i nomi dei compagni di resistenza. Compare peraltro tra gli arrestati anche quello di Gastone Franchetti, che pure poco prima nel rapporto era dichiarato irreperibile: era stato catturato a Pinzolo su una corriera diretta a Trento. Giorgio Tosi viene arrestato e portato alla Feldgendarmerie ma nel frattempo suo fratello, il giovanissimo Valerio, avvisa Dante Dassatti e altri compagni che riescono a mettersi in salvo, essendo meglio addestrati a rimanere nell’ombra.

Nella lista degli arrestati, infine, troviamo anche il nome di Fiore Lutterotti: non è chiaro subito ai partigiani, ma si tratta solo una copertura, perché in verità è lui la spia al servizio della Gestapo infiltratasi nelle fila partigiane. Lutterotti infatti, detto "il Panza", dopo essere stato misteriosamente lontano da Riva e dall’Alto Garda per un certo tempo - infatti dopo l'8 settembre 43, era stato probabilmente internato per un breve periodo in Germania e in seguito aveva aderito alla Repubblica sociale, - aveva avvicinato i suoi coetanei, ex compagni, e aveva ottenuto di essere messo in contatto con Gastone Franchetti e il suo gruppo delle Fiamme Verdi proponendosi come corriere. Lutterotti era stato incaricato di portare documenti per il generale Masini di Milano, ma li aveva forniti alla Gestapo insieme a nomi, ruoli e residenze dei vari partigiani dell’Alto Garda insieme ai contatti con altre brigate. Il compenso della delazione: 20.000 lire. Dopo questo episodio Fiore Lutterotti svolgerà altre azioni antipartigiane da infiltrato in Valsugana.

Giorgio Tosi, intervista a tv7 (2014)

Franchetti

Quanto a Franchetti, è un personaggio speciale a Riva e nel contesto della Resistenza: tenente degli alpini nativo di Lucca, insegna ginnastica al Liceo Maffei. Franchetti, eroe di guerra e campione italiano di pugilato, è un perfetto modello per il fascismo, ma nel corso degli anni matura un sentimento di critica al regime tanto da opporsi apertamente alla leva forzata nell'esercito della Repubblica Sociale: era stato volontario in guerra in Croazia, ma era tornato cambiato, dopo aver assistito alle violenze contro i civili. Gli studenti ne rimangono affascinati anche perché, come lo ha dipinto Giorgio Tosi nel suo libro di memorie “Zum Tode - A morte”, «aveva un fisico atletico, perfetto, da statua greca. Era spavaldo e tenero, rude e generoso, incolto e irrequieto. Fascista, volontario in guerra, alpino e valoroso soldato, torna a Riva con un alone di leggenda per le sue imprese in battaglia». Franchetti è l’insegnante perfetto per costituire in un gruppo coeso e affiatato i giovani del Liceo di Riva, un gruppo di giovani montanari, che a salire insieme sulle montagne sfogano la loro energia. Si chiameranno, romanticamente, Figli della Montagna. -

 

«“Il gruppo dei Figli della montagna nacque all’interno della retorica degli alpini e della montagna in contrapposizione alla cartapesta della Gioventù italiana del Littorio, alle menzogne del regime… - scrive Giorgio Tosi - A differenza della cartapesta perfino la retorica, se fondata su valori autentici, può favorire trasformazioni positive. Così fu per i Figli della montagna in mancanza di radici culturali che a quell’età e in quella situazione non potevamo avere. Gobetti, Gramsci e gli altri ci erano sconosciuti… Ricordo come fosse ieri quella riunione nella pineta di Riva nel 1942: Gastone in divisa da tenente degli alpini, il silenzio stupefatto che accoglie le sue parole. I ragazzi sono allibiti: per quanto preparati, l’urto secco della verità dalla bocca di un eroe, anzi di un idolo, è come un colpo d'ariete. Per i giovani è essenziale passare subito dalle parole ai fatti e Franchetti inventa i “Figli della Montagna”. Un nome ridicolo, da giovani marmotte, un po' infantile. Eppure funzionò. Un nome esatto che fotografava la nostra identità. Ci dava un senso di purità e di separatezza, e perchè no?, di eroismo: era il periodo dell'alpinismo eroico. I “Figli della Montagna” furono una felice invenzione nella delicata trasformazione dei giovani studenti da fascisti ciechi a fascisti critici, e infine ad antifascisti.»

Giulio Poli, dall’archivio di 900trentino

Poi, dopo aver compiuto il proprio personale percorso interiore, è ancora Gastone Franchetti l’uomo giusto per contribuire col suo entusiasmo e la sua spavalda generosità a organizzare, con il nome di battaglia di “Fieramosca”, le Fiamme Verdi nelle zone prealpine del Nord Italia. Le Fiamme Verdi - apolitiche: si legge nel regolamento «Il volontario, di qualunque fede politica esso sia, rinuncerà ad ogni propaganda che non sia contro tedeschi e fascisti

...» - tra le zone del territorio Bresciano e trentino raggiungeranno il numero di 2800 combattenti, in tre battaglioni, e sono attive già dall’ottobre del 1943.

Dopo la cattura di Franchetti e lo sbandamento delle forze partigiane, spettò al parroco

locale, don Giovanni Parolari, detto Pedrìn, l’incarico di riorganizzare i gruppi e le Fiamme

Verdi operanti nell’Alto Garda, quei gruppi che poi confluiranno nella Brigata Garibaldi

“Eugenio Impera” guidata da Dante Dassatti.

(CONTRIBUTO: PAROLARI )

Altri mentori

Anche altri insegnanti del Liceo aiuteranno i giovani Figli della Montagna a formarsi una coscienza critica: il professor Leonardi - storia e filosofia, - e il prof. Gori, Italiano e latino, nella lista degli irreperibili di quel rapporto del 29 giugno 1944. Adolfo Leonardi si presentò ai propri studenti dicendo “mi chiamo Adolfo… ma non è colpa mia”. L’antifascismo di questi professori poteva manifestarsi ovviamente solo in forma indiretta: qualche pausa ironica, qualche espressione non proprio entusiasta o incredula, qualche stoccata quando si trattava di notizie del regime o di riferire le materie di studio al presente. E anche frequentazioni più strette, ad ascoltare musica a casa del professore e a parlare di cultura. Un lungo percorso per liberarsi del velo della propaganda e iniziare a ragionare autonomamente: “un lungo percorso di trasformazione da fascisti a fascisti critici ad antifascisti”, che vide gli studenti - a un certo punto a metà della metamorfosi - scrivere una lettera a Manaresi, presidente del CAI e generale degli alpini della riserva, per denunciare “le malefatte dei gerarchi locali, le quotidiane menzogne sulla guerra e in particolare l’inganno compiuto ai danni delle truppe combattenti e in particolare degli Alpini, mandati al fronte senza l’equipaggiamento e le armi adatte”, ancora convinti che il duce fosse stato tradito, contornato da persone corrotte e inefficienti . Questa lettera valse loro la convocazione alla sede del Fascio e la sospensione dalla Gioventù Italiana del Littorio.

CONTRIBUTO CECILIA IMPERA

Ovviamente anche gli insuccessi bellici contribuirono ad alimentare l’antifascismo, in un territorio particolare, da poco italiano, la cui specialità va presa in considerazione per comprendere gli eventi.

Alpenvorland

Le province di Bolzano, Trento e Belluno appartenevano a una suddivisione territoriale detta “Operationszone Alpenvorland” ovvero “Zona d'operazioni delle Prealpi”. Questo territorio era sottoposto alla diretta amministrazione militare tedesca e quindi di fatto era sottratto al controllo della Repubblica Sociale Italiana: si trovava di fatto in uno stato di pre-annessione al Reich.

L'Alpenvorland venne istituita da Hitler nel settembre del 1943, contestualmente alla Zona d’operazione del Litorale adriatico, ed era affidata al Gauleiter del Tirolo Franz Hofer in qualità di commissario supremo. Egli aveva pieni poteri e rispondeva unicamente a Hitler.

Nell'Alto Adige-Südtirol la costituzione dell'Alpenvorland raccolse dei consensi in quanto concedeva ai tirolesi di lingua e cultura tedesca i diritti che gli erano stati precedentemente negati nel periodo fascista. Nel Trentino invece i sentimenti non erano univoci.

L'occupazione nazista faceva leva sui sentimenti autonomistici, da "piccola patria", del Trentino e contemporaneamente si appropriava ed esaltava il passato austro-ungarico e le "gesta" dei soldati trentini con l'uniforme dei Kaiserjäger nella Grande Guerra (d’altronde erano passati solo 20 anni dall'annessione all'Italia). Il Risorgimento era sentito in buona parte dalle classi colte e dai ceti urbani... mentre invece per i contadini delle valli trentine non era certo un punto di riferimento. Quindi se da una parte poteva essere gradita la separazione dalla Repubblica Sociale Italiana, dall’altra non per tutti era intollerabile l’occupazione nazista. Il Gauleiter Franz Hofer, consapevole di questa situazione, cercò dapprima di guadagnare il consenso trentino offrendo un simulacro d'autonomia. Il 17 settembre 1943 chiamò a raccolta gli uomini più rappresentativi della provincia, compresi i liberali antifascisti, cercando la loro collaborazione. Ai Trentini venne concesso di non andare in guerra e di impegnarsi o nell'organizzazione Todt o nelle Forze di polizia trentine. A fronte di queste concessioni, d’altro lato, le forze naziste non potevano tollerare in alcun modo la resistenza nei confronti dell’occupazione.

Giulio Poli, dall’archivio di 900trentino

Nel territorio dell’Alto Garda: Riva, Arco, Nago, era sopravvissuta agli anni del regime fascista una cellula comunista antifascista, guidata localmente da Attilio Meneghelli. Sopravvissuta sì... ma tra mille difficoltà: Meneghelli per esempio aveva dovuto scontare la pena del confino in Basilicata per quattro anni, ma all’arrivo delle truppe tedesche l'8 settembre 1943 si era già messo in contatto con altri militanti del partito per riorganizzare la cellula comunista radunando militari e allestendo depositi per le armi. Il suo gruppo, come molti altri, aveva anche offerto il suo supporto al comandante della guarnigione italiana di Riva del Garda contro i tedeschi. Il piano prevedeva l’interruzione delle gallerie litoranee mediante scoppio di mine e la dislocazione di gruppi armati attorno al perimetro di Riva del Garda. Il comandante tuttavia aveva rifiutato l’aiuto e anzi minacciato la fucilazione dei gruppi partigiani. La cellula comunista era, a differenza del gruppo dei giovani seguaci di Franchetti, più guardinga e meglio organizzata per resistere alle delazioni e allo spionaggio: ciò l’avrebbe preservata dalla spia Lutterotti.

In seguito Attilio Meneghelli, dopo aver scampato l’eccidio del 28 giugno, cercò di farsi assumere nelle Gallerie della Strada Gardesana, per contribuire alle azioni di sabotaggio nei confronti della produzione tedesca. Tra il luglio del 1944 e il giugno del 1945 infatti, le gallerie della Gardesana Occidentale vennero bloccate al traffico e furono convertite in sedi di diverse fabbriche belliche tra cui la Breda e la FIAT X, che doveva realizzare motori aeronautici. La Fabbrica nazionale Armi del gruppo Caproni, produceva armi invece nella tratto già terminato della galleria di scolmamento Adige-Garda, nel tratto a nord della gardesana orientale. A Riva per lungo tempo è circolata la voce che in esse venivano preparati pezzi per le famigerate V2, e ciò potrebbe spiegare la fretta con cui le forze alleate, risalendo il Garda, volevano giungere a Torbole. La produzione era scarsa a causa dei continui sabotaggi: si dice addirittura che non uscì da quelle fabbriche un pezzo funzionante. Se non uscirono componenti per la guerra, di sicuro però da quelle fabbriche nelle gallerie uscirono dei combattenti partigiani che si unirono alla resistenza locale e parteciparono alla battaglia di liberazione finale.

Il territorio

Le gallerie della strada gardesana erano state costruite durante il regime, ed erano la via d’accesso da sud, dal Veronese, all’Alto Garda, che si presenta come una vallata stretta tra i monti all’estremo nord del lago.

Per raffigurarci meglio il territorio, guardiamolo con gli occhi di Renato Ballardini che, ancora liceale, riuscì a sfuggire alla strage del 28 giugno.

«Ho avuto la sorte di nascere e vivere a Riva del Garda, un luogo baciato dalla fortuna. Una combinazione miracolosa di forme e colori. Davanti, un lago azzurro e trasparente, stretto e profondo, delimitato dai profili di due montagne sulle opposte sponde che all’orizzonte scompaiono, quasi immergendosi nell’acqua e nella vasta pianura Padana. Dietro, una conca verde con altri borghi, tagliata da un colle, il monte Brione, che ha la forma di un apostrofo, ed è delimitata da una corona di monti dalle sagome più varie, come l’aguzzo Misone, lo Stivo protettivo, e persino l’anticipazione dolomitica della Pichea. D’inverno, tutti imbiancati.» Questo lembo di terra in cima al Garda era stato considerato di interesse strategico da quasi 80 anni, quando gli austriaci avevano iniziato a fortificarlo come lembo meridionale dell’Impero, divenuto terra di confine dopo la perdita del Regno Lombardo-veneto, e avevano continuato a rinnovare e migliorare le fortificazioni completandole mentre la Grande guerra era in corso. Ancora una volta, nella Seconda guerra mondiale, si trovava in una situazione che potremmo definire ad alta intensità storica e militare, per varie ragioni: era il fronte meridionale dell’Alpenvorland che lusingava i sentimenti autonomistici e nel contempo era implacabile contro ogni forma di resistenza, - era però anche terra fertile per un sentimento antifascista che si fa strada nei giovani e si nutre della purezza dello spirito alpinistico, questa terra ospitava importanti fabbriche belliche traslocate durante la ritirata, ma insieme ad esse anche impiegati operai antifascisti e antinazisti; infine, risultava un obiettivo strategico per le forze armate alleate.

Proprio lungo la strada gardesana orientale infatti avanzava nell’aprile del 1945 Remount Blue, il 3° battaglione dell'86° reggimento della 10a divisione da Montagna statunitense, impegnato un’azione militare messa in atto dall’esercito alleato per liberare l’area del basso Sarca, ancora in mano ai tedeschi.
Il 28 aprile i mountaineers, avanzati a fatica dalla linea Gotica, decisero di risalire il lago lungo la gardesana orientale, e giunsero alla prima galleria, che però fu fatta saltare dai tedeschi. Nonostante ciò il battaglione riuscì a superare questo problema aggirando le prime due gallerie sfruttando la navigazione sul lago. Il giorno seguente, evitando il fuoco nemico, prese possesso della Galleria del Corno di Bo’ trovarono distrutta quella successiva. L’avanzata procedeva a fatica, Riva e l’Alto Garda erano isolate: subito prima di essere arrivati al loro obiettivo, al paesino di Torbole, un proiettile di cannone proveniente dal monte Brione ferì 44 soldati e ne uccise 7.

La battaglia di Riva

I tedeschi decisero di difendere la città di Riva a oltranza per permettere la ritirata alle proprie truppe. Dal 25 aprile si intensificarono rastrellamenti e concentramenti di armi e munizioni. L’Alto Garda non aspettò però la liberazione dagli Alleati. Il 28 aprile i primi gruppi partigiani entrano in azione mentre le batterie alleate aprono il fuoco. E’ “il momento del furore, dell’angelica vendetta” per usare ancora le parole di Tosi: “con l’insurrezione di Riva il dramma del 28 giugno arriva al suo vero compimento”. L’eccidio del 28 giugno 1944 infatti

non ha ucciso la resistenza: ha “colpito gli animi, risvegliato le coscienze, mobilitato energie, convinto altri”. Se possibile l’ha resa più determinata e le ha fornito supporto di una comunità ferita, che ha visto falciati e perseguitati i suoi giovani e i loro familiari. A Riva la battaglia è cruenta, si combatte in centro: cade Giulio Pederzolli, giovane universitario, arrivano i rinforzi del battaglione operaio della FIAT ma anche nel contempo si stanno concentrando in città i repubblichini, in fuga da Salò. Cadono Maffioldo, operaio, e altri partigiani. Dante Dassatti, al comando delle forze partigiane di Riva è convinto che il suo primo dovere è salvare la città: i tedeschi minacciano infatti di aprire il bombardamento. Le sue forze si ritirano alla periferia della città e intercettano però, con bombe a mano, le colonne di veicoli che si stanno ritirando, con al seguito le armi. Giorgio Tosi, liberatosi dopo l’arresto, ritrova Valerio Tosi: si abbracciano dopo mesi e in mezzo all’abbraccio ci sono i fucili che portano a tracolla. La battaglia di Riva dura fino al 30 aprile. Prima che entrino in città le truppe americane la Resistenza ha liberato la città ma l’ha anche salvata dai bombardamenti. La “angelica vendetta” non infierisce: nella piazza del Comune sono allineati i fascisti rastrellati, i partigiani hanno il dito sul grilletto: interviene il comandante Dassatti che sospende l’esecuzione. Lezione di democrazia e repubblica, dopo la barbarie.

Valerio Tosi, intervista degli studenti del Liceo Andrea Maffei (2016)

“E la liberazione venne; venne per quelli che l'avevano sperata invocata preparata, per gli assonnati e gli immeritevoli anche venne; per tutti. Non per Gastone Franchetti né per i morti come lui, Da lungo tempo avevan chiuso gli occhi sotterra. Ormai di loro s’era impadronita la storia.”

 

Il 28 giugno 1944 viene compiuta una violenta azione di repressione dalle SS in Trentino e in particolare nell’Alto Garda, l’eccidio dei “martiri del 28 giugno”.

L’ha raccontata la classe Quarta A Scientifico del Liceo Andrea Maffei di Riva del Garda (a.s. 2019/20) con i contributi di Cecilia Impera, Giorgio Tosi, Giulio Poli, Valerio Tosi e Paolo Nori

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