Una interessante riflessione di Daniela Brogi (Da Becoming Artemisia / Diventare Artemisia. Un racconto raffigurato di Daniela Brogi (in Anna Banti, Artemisia, Mondadori, Milano 2023)"

«Artemisia è nome ed emblema di molte identità, contemporaneamente. Deriva da Ártemis (dea greca della caccia, degli animali selvatici, della foresta e anche della luna, protettrice della verginità). Si riferisce anzitutto al nome di una pittrice secentesca nata a Roma alla fine del Cinquecento: figlia di Orazio Gentileschi (1563-1639), straordinario artista caravaggesco di origini pisane trasferitosi a Roma e morto a Londra. …

La biografia di Artemisia, anche se piena di ombre e di parti mancanti, fu avventurosa. Pensate a una donna che, nella prima metà del Seicento, si imbarca per l’Inghilterra a bordo di un veliero.

 Non ebbe un’esistenza facile: costellata di fughe, perdite, smarrimenti, azzardi, mancanza e ricerca di denaro, come possiamo immaginarci. È la vita di una donna libera vissuta nel Seicento, che non vuol dipingere soltanto nature morte ma sante ed eroine, in un mondo dove il genio è per definizione maschile. Quello che non è così scontato immaginare, però, è il successo che Artemisia ebbe anche da viva, diventando in certi casi anche più rinomata di suo padre. Malgrado la fama “scandalosa” buttatale addosso dal processo per stupro (1612), nonostante i pregiudizi nei confronti delle artiste, Artemisia infatti, durante la sua esistenza, non è stata né ignorata né sfortunata.

Artemisia difatti, ormai lo sappiamo, oltre che essere pittrice e figlia di Orazio è anche la protagonista di uno dei romanzi italiani più belli del Novecento: un libro complesso e non immediatamente facile a una prima lettura; certamente da leggere più di una volta, perché è scritto da un’autrice che sta inventando un nuovo modo di guardare e rappresentare le vite delle donne, incluse le artiste. Artemisia è il nome di una pittrice, dunque; è il titolo di un libro di Anna Banti; è il simbolo di battaglie contro la violenza sulle donne; è, infine, il nome di una finzione romanzesca.

.

Anna Banti riamalgama e reinventa un corpo narrativo pieno di voci femminili e capace di raccontare non solo ciò che è stato taciuto dalla storia (una storia solo maschile, dove le donne muoiono), ma anche quello che le donne, dentro la storia, hanno taciuto a sé stesse e mantenuto in una «interna oscurità», intrappolate in una notte che può essere riscoperta e illuminata proprio raccontandosi a vicenda.

Le donne che, nei decenni successivi, combattono per la libertà delle donne sono coloro a cui Banti ha consegnato un’eredità tenebrosa e bruciante, come una candela eterna che continua a illuminare la notte. Perché Artemisia ha segnato la strada, mostrando come costruire storie e creature letterarie ibride (molto prima dei recenti successi della biofiction e dell’autofiction).

Ha fatto entrare nello spazio dell’invenzione soggetti di solito rimasti fuoricampo; ha fatto vedere, ci fa vedere, che lo stupro non basta, certamente, a capire l’opera di una pittrice, ma questo non significa che sia vero il contrario, cioè che il suo lavoro possa essere guardato rimuovendo un evento irricucibile e che infatti il romanzo mette in primo piano.

Dentro una vicenda di violenza sessuale esplodono, assieme alla scena e all’esperienza dell’aggressione carnale, molte altre storie di violenza simbolica e di offesa della vittima. Sono tratti comprensibili dentro gli assetti di una società e di una cultura; sono tratti sistemici che possono aiutarci a capire, per esempio, perché il quadro di Artemisia Gentileschi più associato alla vicenda dello stupro, vale a dire Susanna e i vecchioni, intercetti e raffiguri così bene elementi forti della violenza di genere, pur essendo stato eseguito nel 1610, vale a dire un anno prima dello stupro testimoniato dal processo (pensate: da una donna che sapeva scrivere a malapena il suo nome che, nel quadro di Susanna e i vecchioni, appare inciso sulla pietra dietro il ginocchio destro). Susanna, racconta il Vecchio Testamento, era una giovane donna molto bella e pia. Due vecchi uomini di potere (sono giudici) che frequentano la casa di suo marito un giorno si introducono nel giardino sorprendendo Susanna mentre fa il bagno. Sfrenati dalle loro voglie, la minacciano di accusarla di averla sorpresa con un giovane amante se non accetta di essere violata. Poiché Susanna rifiuta, l’accusano pubblicamente di adulterio. Portata in tribunale, è riconosciuta colpevole e condannata a morte mediante lapidazione, ma Daniele, il futuro profeta, interviene e riesce a scagionarla dalle calunnie.

Susanna ArtemisiaGentileschi

Sarete d’accordo che tenere tutto assieme, vale a dire rileggere il racconto biblico mentre si guarda il dipinto, avendo in mente anche le deposizioni della pittrice al pubblico processo del 1612, le pagine del romanzo e, purtroppo le storie di stupro di cui, oggi, quattro secoli dopo, così tante volte si ha notizia e si leggono i resoconti, ecco: fare tutto questo crea una vertigine visiva e temporale, perché l’ambiente degli amici di famiglia come scenario ricorrente della violenza sulle donne; la prepotenza sessuale come cifra di virilità; il ricatto di rovinare la reputazione di una donna se non accetterà in silenzio lo stupro; la messa in discussione, in sede di processo, più dell’attendibilità della vittima e della sua condotta di vita che dell’aggressore: tutti questi elementi sono ancora punti forti della prova di potere e di violenza patriarcale allestita da una scena di stupro. Quel paradigma storico culturale e simbolico, essenzialmente, è ancora in piedi.

Volendole cercare (quando si parla delle opere delle donne, la ricerca di modelli maschili alternativi è un costume molto diffuso), esistono   esecuzioni migliori, per qualità pittorica, di quel tema iconografico così ricorrente (possiamo limitarci a citare l’esempio del quadro dedicato allo stesso motivo da Tintoretto e conservato al Kunsthistorisches Museum). Ma nessuna altra tela, come questa, eseguita da una donna di diciassette anni, rappresenta così bene, purché si sappia riconoscerla, l’espressione terrificante di un corpo e di un volto sottomesso al potere e alla violenza fisica. Susanna e i vecchioni di Artemisia non racconta solo una violenza ma le emozioni “tipicamente” femminili (in senso storico) scatenate e assimilate nei secoli dalla cultura e dal senso comune di cui è simbolo quella violenza: paura, insicurezza, angoscia. Fateci caso, perché è importante: i due uomini che, come formando una massa unica che incombe sulla ragazza, stanno molestando Susanna non sono vecchi: sono uomini adulti. Quello a sinistra, in particolare, è un uomo giovane. Riguardiamola ancora, infatti, la storia di stupro di Artemisia Gentileschi, testimoniata dal processo del 1612 e trasformata in romanzo da Anna Banti. Interroghiamoci su cosa racconti quell’evento, e perché fissi una narrativa dello stupro da cui, è molto doloroso dirlo, a distanza di quattro secoli non siamo ancora usciti. Sono almeno quattro i passaggi attuali di quella storia. All’abuso sessuale si accompagna la violenza simbolica del maestro che molesta l’allieva: Artemisia, secondo le intenzioni del padre, doveva prendere lezioni di prospettiva da Agostino Tassi, amico di Orazio. Impedendole di dipingere, come racconta Artemisia, e disprezzando i suoi strumenti di lavoro, Agostino si serve dello stupro anche per aggredire e negare il talento della sua allieva in quanto femmina.»

Adesso, come allora, guardare a questi aspetti non vuol dire fare vittimismo – argomento tipico del maschilismo benpensante, che, oltre a creare disparità, ha provocato anche storture di tipo critico e culturale. Significa semmai saper stare davanti al dolore degli altri, anzi delle altre, costruire un linguaggio critico, intellettuale, capace di dire, di riconoscere lo stupro, anche di farlo esistere nella memoria, se si considera che la coraggiosa capacità di reagire di Artemisia Gentileschi, come accade, è stata usata spesso contro di lei: per dire che se ne era dimenticata, che non era così importante quella violenza che Banti, invece, sceglie di mettere subito sotto gli occhi di chi leggerà Artemisia: «vittima» «svillaneggiata» «di un pubblico processo» «di stupro».»

Da Becoming Artemisia / Diventare Artemisia. Un racconto raffigurato di Daniela Brogi (in Anna Banti, Artemisia, Mondadori, Milano 2023)

ScuolaFutura

Curricoli digitali

Rete Research School

RRS

Rete Scuola Salute

ReteScuoleSalute p

Antologie 2.0

Curricoli digitali

Partners

cassa rurale alto garda rovereto
LogoGraffiti2

Collaborazioni

la ricerca
Didasharing

Liceo "Andrea Maffei" - Viale F.A. Lutti, 7 - 38066 Riva del Garda (TN) - Tel. 0464 553511 - Fax 0464 552316 - C.F. 84000540223  - Cod. Mecc. TNPC01000Q
email: segr.liceo.maffei@scuole.provincia.tn.it - PEC: maffei@pec.provincia.tn.it